Bias, pregiudizi e stereotipi: quanti danni fanno e come liberarsene

Gli stereotipi sono alla base di valutazioni e scelte sbagliate, perché basati su una lettura falsata della situazione. Fanno danni nella vita privata e anche in quella professionale.
Se le decisioni sbagliate nella “private life” le scontiamo sulla nostra pelle, in azienda possono avere ricadute pesanti su molte persone o sull’andamento stesso del business.
Come? Investimenti errati, potenziale inespresso delle risorse umane, leadership catastrofiche.

Se togli i pregiudizi, cambia la scelta

Siamo all’inizio degli anni Settanta e nelle orchestre sinfoniche statunitensi suonano solo il 5% di donne. Vent’anni dopo la quota è salita al 35%, grazie a un sipario.
Da quando, durante la selezione dei musicisti, è stata introdotta la tenda rossa a celare la loro età, sesso, aspetto fisico etc, la composizione delle orchestre si è molto equilibrata.

Cosa sono i bias cognitivi

Sono scorciatoie che prende il nostro cervello per farsi un’opinione e reagire.
La realtà è piena di dati e noi, in un dato lasso di tempo, dobbiamo raccoglierli, inviarli al cervello per decodificarli e interpretarli. Tendiamo quindi a selezionare le informazioni in ingresso e a scegliere quelli che confermano una nostra opinione pregressa.

Riconoscere i bias per evitarli (mica sempre)

Molte aziende, soprattutto negli Stati Uniti ma anche qui in Italia, hanno avviato importanti campagne di comunicazione interna per “smascherare” e quindi depotenziare alcuni bias più frequenti, come quelli che portano al demerito della donna in alcune situazioni professionali o che ci inducono a giudizi errati sulle persone a seconda di alcuni dei loro tratti fisici (come la campagna “A pari merito” di BPER Banca).

Ragione o istinto

Daniel Kahneman (psicologo) dice che il cervello umano funziona sulla base di 2 sistemi correlati:
Il sistema 1, ovvero la parte automatica, irrazionale, subconscia, veloce; è la parte più antica del cervello (rettiliana), quella che reagisce a stimoli di sopravvivenza come paura-fuga.
Il sistema 2, ovvero la parte controllata, razionale, lenta; è la parte relativamente più recente del cervello, quella della neocorteccia.

E… sorpresa! Più del 90% delle nostre decisioni è preso ancora sulla base del sistema 1, perché è quello più rapido, che lavora per associazioni e, come già detto, il nostro cervello vuole risparmiare energia. 

L’elefante e il guidatore

Jonathan Haidt, nel libro “Felicità: un’ipotesi” ci chiede di immaginare che la nostra parte inconscia sia un elefante di 6 tonnellate e la parte razionale sia il suo guidatore, seduto sul suo dorso. Se l’elefante decide di andare da una parte (a causa dei bias cognitivi), il guidatore (la parte razionale) non potrà dissuaderlo.
Cosa significa?
Che, anche se razionalmente riconosciamo i nostri bias, a volte continuiamo a decidere sulla base di queste distorsioni.

Trucchetti per fregare i bias

E allora non basta conoscere i bias ma, per evitare che l’elefante ci trascini dove non vogliamo, dobbiamo imparare a mettere in campo una serie di “trucchetti” per distoglierlo.
Ecco i “pungoli” (nudges) per l’elefante.


Nudges: la spinta gentile

Cass Sunstein e Richard Thaler, nel libro “Nudge. Improving decisions about health, wealth, and happiness”,  (Nudge. La spinta gentile), spiegano che il nudge guida le scelte senza imporre obblighi o divieti, per questo è una “spinta gentile”.
Un celebre esempio di nudge è quello adottato nei bagni degli uomini nell’aeroporto di Amsterdam Schipol dove, grazie a una mosca disegnata negli orinatoi, i fruitori riuscivano a concentrarsi prendendo meglio la mira ed evitando di sporcare il pavimento.

Come applicare i nudge in azienda:

Riunioni ed effetto gregge: il rischio è il bias della conformità, detto anche “effetto gregge” che porta una persona a uniformare la sua opinione a quella della maggioranza.
Si può superare invitando i partecipanti a scrivere le loro opinioni in una nota personale, senza farsi condizionare dalle opinioni altrui.

In-Group e Out-Group: un In-Group è un gruppo in cui un individuo si riconosce, per affinità di genere, origini, tipologia di lavoro, modo di comunicare etc..
Questo bias influisce sui processi selettivi, premiando quelle persone che sono più simili a noi oppure, in una riunione o in un progetto, dando più importanza alle opinioni espresse da queste persone.
Come superarlo? Oscurando i dati personali sul curriculum dei candidati, o, in riunione, usando un timer per dare a tutti lo stesso spazio di intervento.

Pause e bias dello status quo: quando siamo stanchi (perché siamo stati concentrati a lungo, per esempio), tendiamo ad accettare la situazione attuale per evitare il cambiamento (letto dall’elefante come rischioso). Come superarlo? Programmiamo delle pause nelle riunioni ed evitiamo sovraccarichi di informazioni chiedendo che non si leggano mail o messaggi.

Conclusioni

Di bias siamo circondati e spesso non basta riconoscerli per evitarli.
Le aziende sono invitate a prendere misure utili per evitare che questi “pregiudizi” influenzino negativamente l’andamento del lavoro, sia in termini umani che economici.

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